Dal 2004 a questa parte ogni anno il 10 Febbraio segna il Giorno del ricordo. Nel 1993 i ministri degli esteri della Slovenia, della Croazia e dell'Italia istituirono due commissioni miste storico-culturali al fine di pervenire a una risoluzione comune per una memoria condivisa sulle drammatiche vicende del confine, le foibe e l’esodo e, prima ancora, l'invasione italiana della Jugoslavia del 1941, la sua lunga scia di sangue e la violentissima politica di snazionalizzazione delle minoranze avviata all'inizio degli anni ‘20 dal “fascismo di confine”.
E’ nell'ambito di questo spirito che dovremmo ricollocare il riconoscimento degli errori e degli orrori del passato per poter costruire un presente e un futuro all'insegna di una convivenza di pace e di civiltà. Invece perlopiù oggi questa data segna una contrapposizione aperta e irrisolta su ciò che fu il nostro passato durante la dittatura fascista e nazista in Italia e in Europa.
Oggi, con il risveglio delle destre più estreme si cerca non tanto una verità dei fatti che non può essere che dolorosa ma una rivincita su coloro che con grande sofferenza portarono il nostro paese e l'Europa sulla strada della democrazia. In questa giornata si registrano come non mai minacce di ritorsioni su chi ricerca una verità storica che non si confà al pensiero di chi ancora oggi saluta con il braccio teso svelando spesso un sentimento di rivalsa sui partigiani italiani che riscattarono il ventennio buio della dittatura fasciata.
Anche nelle “stanze dei bottoni” spesso di fanno valutazioni revisioniste: si nega la cittadinanza a Liliana Segre, si deride Anna Frank, si nega la possibilità di prendere le distanze degli attuali gruppi estremisti di destra che recentemente si sono resi protagonisti di assalti alle sedi dei sindacati di fascistissima memoria, ma ci si adopera di gran lena nell’attività di demonizzazione dei partigiani comunisti rei di essere da sempre nemici dei fascisti.
In questi ultimi vent'anni varie proposte di legge sono state presentate per equiparare partigiani e repubblichini in nome di una pacificazione che significherebbe mettere sullo stesso piano vittime e carnefici e rendere, di fronte alla storia, uguali la scelta di chi la guerra e la violenza la istituzionalizzó e di chi invece la combatté per non dovere più subire e far subire fame, violenza, guerra. Queste proposte di legge sono state sempre respinte dalla società civile e dagli antifascisti, ma oggi, invece, che la destra siede nei tavoli istituzionali, demonizza la stessa democrazia che invoca quando se ne sente esclusa ma che vuole modificare a sua immagine e somiglianza quando si trova nelle posizioni di potere.
Come antifascista certamente non nego gli accadimenti e le tragedia della guerra, non nego certamente l'esodo di una popolazione di cui una democrazia giovane non si è fatta carico, ma in me c'è la coscienza di chi alza lo sguardo e pensa che fatti di una gravità come quelli della guerra hanno responsabili. Questi responsabili si chiamano Hitler e Mussolini coscienti di ciò che stavano costruendo quando il 6 aprile 1941 le truppe tedesche seguite a ruota da quelle italiane e ungheresi invasero la Jugoslavia. Seguirono anni terribili. Diciamolo subito: la responsabilità prima dell'inferno in cui precipitò la Jugoslavia spetta a chi la attaccò e scatenò una guerra di tutti contro tutti. Poi fu il caos: guerra di liberazione contro gli occupanti; guerra civile fra serbi, sloveni, partigiani comunisti; guerra rivoluzionaria per la creazione di uno Stato socialista; feroci repressioni antipartigiane; sterminio degli ebrei. Davvero, nel museo degli orrori non manca nulla. Di quel vortice di violenza i soldati italiani di istanza nei territori annessi occupati, non furono semplici spettatori ma protagonisti. Si tratta di una delle pagine più nere della nostra storia nazionale, con pochi lampi di luce. Ed è forse per questo che si è preferito dimenticarla. Altri paesi, come la Germania, hanno mostrato più coraggio nel fare i conti con il proprio passato oscuro.
Oggi, nel nostro piccolo, abbiamo voluto fornire una testimonianza attraverso l'intervista all'artista Vittorio D’Augusta, autore del monumento “la biblioteca di pietra” installato a Rimini sul porto e esule istriano. Le sue parole ci riportano ad un livello di umana ricerca e di comprensione della e nella storia. Oggi, dopo ottant'anni da qui tragici fatti del 1941, speriamo sia venuto finalmente il momento di raccontare a noi stessi e alle future generazioni i tragici accadimenti di quei giorni nella visione più possibile aderente a ciò che fu. Questo è l’insegnamento che possiamo trarre dalla Costituzione nata dalla Resistenza.
Comments