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Eccidio delle Fosse Ardeatine e l'eccidio di Chigiano-Valdiola

Eccidio delle fosse Ardeatine

L'eccidio delle Fosse Ardeatine fu l'uccisione di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella, compiuto il 23 marzo da membri dei GAP romani, in cui erano rimasti uccisi 33 soldati del reggimento "Bozen" appartenente alla Ordnungspolizei dell'esercito tedesco. L'eccidio non fu preceduto da nessun preavviso da parte nazista.

Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, l'eccidio delle Fosse Ardeatine divenne l'evento-simbolo della durezza dell'occupazione tedesca di Roma. Fu anche la maggiore strage di ebrei compiuta sul territorio italiano durante l'Olocausto; almeno 75 delle vittime erano in stato di arresto per motivi razziali.

Le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quale luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.


Eccidio di Chigiano-Valdiola

Il 24 marzo 1944 è il giorno del sacrificio del parroco di Braccano, don Enrico Pocognoni, della ≪battaglia di Valdiola≫ e di quello che la memoria popolare ricorda come ≪eccidio del ponte di Chigiano≫. Questa piccola frazione di San Severino fu al centro della lotta che si accese quel giorno tra le forze nazifasciste e i partigiani.

Quel giorno si verificò un altro episodio tragico: cinque partigiani del gruppo ≪Porcarella≫, guidato da Agostino Pirotti, furono catturati e uccisi. Si trattava di quattro giovani originari di Osimo: Francesco Stacchiotti (22 anni), Piero Graciotti (22 anni), Lelio Castellani (20 anni), Umberto Lavagnoli (21 anni) e Giuseppe Paci (21 anni), nativo di Petilia Policastro (Crotone). Gli uomini, spinti a forza con il calcio delle armi e riempiti di farina nella bocca, furono ≪posti contro il parapetto del ponte… colpiti alle gambe dalle raffiche di mitra, poi così feriti dolorosamente ad uno ad uno gettati dal ponte alto una decina di metri sul ghiaioso letto del Musone ma, constatato che non erano ancora finiti, laggiù lapidati e brutalmente sfregiati…≫ (Piangatelli 1985, p.101). Il partigiano russo Josip Dimitrov venne costretto ad assistere alla violenza, per poi essere anch’egli fucilato, nei pressi di Corsciano, altra frazione di San Severino.



Fonti: StoriaMarche900; Wikipedia



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