In questi giorni di maggio riaffiora, come una lava incandescente di un vulcano che sembrava
spento, la questione palestinese. Si riaccendono i riflettori sul Medio Oriente e si riparla di West Bank e Striscia di Gaza. Prima di addentrarmi nelle vicende che stanno occupando tv e giornali di gran parte del mondo, vorrei, a chi non conoscesse abbastanza la realtà palestinese, dare un quadro generale della vita che si svolge in questo Paese che si chiama Palestina. Quando sento parlare di West Bank e Striscia di Gaza come due entità distinte mi fa capire quanto ancora siamo lontani nel percepire un’unica terra e un unico popolo. Certo vi sono delle situazioni che le contraddistinguono l’una dall’altra e che riguardano i vari sistemi di controllo che Israele utilizza per mantenere sottomesso il popolo palestinese.
Partiamo dalla zona denominata West Bank. Questa parte della Palestina è suddivisa in tre aree: area A che sarebbe sotto il controllo e l’amministrazione dell’autorità palestinese, l’area B dove il controllo è da parte israeliana mentre l’amministrazione è palestinese ed infine l’area C dove sia il controllo che l’amministrazione è in mano agli israeliani e contiene tutti gli insediamenti ebraici. Gli insediamenti (detti anche colonie) sono quei villaggi ebraici che negli ultimi cinquant’anni Israele ha autorizzato a costruire nella West Bank. Il muro, questo lungo serpente di cemento voluto da Israele, passa attraverso 10 degli 11 distretti della West Bank, annettendo circa il 50% dei Territori Palestinesi.
Quello che secondo i vari trattati di pace svolti negli ultimi decenni dovrebbe diventare il futuro Stato palestinese è reso praticamente impossibile in quanto la Palestina vede ogni giorno portarsi via pezzi di terra. Altro problema per il movimento sul proprio territorio per i palestinesi sono i checkpoint sparsi per tutta la West Bank che separano le comunità palestinesi rendendo l’accesso a città e villaggi quasi impossibile. I palestinesi che vivono in West Bank sanno bene che le loro vite sono condizionate da lunghe file ai vari checkpoint per potersi spostare per lavoro, studio, cure o altro, dove spesso vengono percossi e umiliati, che nei loro villaggi, spesso durante la notte, ci sono raid dell’esercito israeliano che irrompono nelle loro case mettendo a soqquadro tutto e spesso portandosi via bendato e legato un membro della famiglia e che i coloni israeliani attaccheranno loro e le loro terre dando fuoco agli alberi d’ulivo, distruggendo raccolti e pozzi d’acqua perché sperano così che i palestinesi abbandonino la loro terra.
Diversa la situazione nella Striscia di Gaza. Confinante tra Israele e l’Egitto è una prigione a cielo aperto dove vivono più di un milione di palestinesi. Israele, che mantiene sulla striscia un blocco insieme all'Egitto, controlla lo spazio aereo e marittimo della striscia, sei dei sette attraversamenti della frontiera terrestre e il movimento di merci e persone dentro e fuori dalla Striscia. Chi vive in questo lembo di terra sa che se sei un pescatore ogni volta che uscirai in
mare verrai attaccato dalla marina israeliana, se sei un contadino e hai il tuo raccolto vicino alla frontiera rischi di beccarti una pallottola dai soldati israeliani di vedetta. Chi vive nella Striscia di Gaza è soggetto anche ad incursioni aerei israeliani e bombardamenti (gli ultimi, prima di questi giorni di maggio, sono stati il 16 e 24 aprile). Un discorso a parte è Gerusalemme. La città santa, che racchiude i siti religiosi delle 3 religioni monoteiste, è la più ambita da entrambe le parti che la considerano la propria capitale.
Nelle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1949 Gerusalemme era stata divisa in zona Ovest, dove era più alta la presenza di cittadini israeliani, sotto il dominio di Israele mentre la parte Est compresa la città vecchia è abitata maggiormente dai palestinesi sotto il controllo giordano. Dopo la guerra del 1967, Gerusalemme fu riunita sotto la sovranità israeliana e nel 1980 fu fatta una legge che sanciva l’annessione della città proclamando Gerusalemme capitale unita ed indivisibile dello Stato di Israele. L’ONU ha condannato tale legge invitando gli altri Stati a stabilire le proprie ambasciate a Tel Aviv. Negli ultimi anni, attraverso trasformazioni urbanistiche ed insediamenti ebraici nella zona Est, è aumentata la presenza della popolazione israeliana nei quartieri arabi, isolando in questo modo la popolazione palestinese dal resto della West Bank con il muro costruito come barriera difensiva. Quello che sta accadendo nel quartiere di Sheikh Jarrah e cioè lo sgombero dalle loro case di 28 famiglie palestinesi, non è altro che una politica che va avanti da diverso tempo. Netanyahu governa con l’appoggio
dell’estrema destra, poiché dopo le ultime elezioni (che sono state le quarte nel giro di due anni) non gli permettono di avere la maggioranza assoluta; il presidente israeliano rischia inoltre un processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio amento e rischia un processo in quanto indagato per corruzione, frode e abuso d'ufficio per modifiche legislative effettuate al fine di favorire aziende di comunicazione ed importanti uomini d'affari. Netanyahu sta accelerando sia gli sgomberi delle famiglie palestinesi da Gerusalemme che la costruzione di nuovi insediamenti israeliani in West Bank. Quello che sta accadendo a Sheik Jarrah è dovuto al fatto che un’immobiliare israeliana ha comprato, pagando molti soldi, le carte in cui è riportato che prima del 1948 i terreni, dove ora sorge il quartiere palestinese, appartenessero a delle famiglie ebree e quindi ne richiedono la restituzione. Tale politica non è però riconosciuta ai palestinesi che si sono visti portare via le loro case e terreni dal 1948 in poi. La Corte costituzionale israeliana ha decretato lo sgombero delle famiglie dalle loro case.
Ad esasperare ulteriormente gli animi dei palestinesi sono state le chiusure della Porta di Damasco, luogo di ritrovo per i giovani palestinesi, la chiusura della spianata alla moschea di Al Aqsa, il divieto ai religiosi di raggiungere i luoghi di culto nel periodo del Ramadan e infine il
divieto ai palestinesi di Gerusalemme est di poter partecipare al voto del nuovo Presidente palestinese adducendo come scusa il covid e con il rischio di dover rimandare di nuovo le votazioni in Palestina ( è dal 2006 che i palestinesi non riescono ad andare a votare). Sono iniziate le proteste dei palestinesi in difesa dei loro diritti e contro lo sgombero di Sheik Jarrah. Vi è stata un’escalation di violenze ed attacchi da parte non solo dell’esercito israeliano ma anche da parte di bande di estrema destra israeliana. L’attacco poi all’interno della moschea contro i fedeli in preghiera con lacrimogeni, pallottole sia di gomma che vere e bombe assordanti che ha provocato centinaia di feriti, ha scatenato la rabbia dei palestinesi. L’intera Palestina è scesa in piazza portando a nuovi attacchi e arresti da parte dell’esercito israeliano in tutta la West Bank.
Oltre a tutto ciò, sono ripresi i bombardamenti sulla Striscia di Gaza con risposta, da parte di Hamas, di missili contro Israele. Netanyahu ha richiamato 5000 riservisti, inviati al confine della Striscia di Gaza bulldozer e artiglieria pesante per preparare un’invasione via terra Striscia. Se la comunità internazionale non interverrà al più presto la Palestina sarà bagnata dal sangue del suo popolo.
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