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1943 – 2023: I bombardamenti sui civili

Le bombe di ieri e di oggi

Aisha, 19 anni e studente, ci ha scritto le sue riflessioni sulla guerra che vogliamo condividere con voi. Ringraziamo Aisha per il suo prezioso contributo.


Quest’anno ricorre l'80° anniversario dell’inizio della Guerra di Liberazione.

Oggi sono una ragazza di diciannove anni e quel che so mi è stato raccontato solo dai nonni, oltre allo studio sui libri scolastici. In realtà della guerra se ne parla in ogni forma artistica, dai romanzi alla poesia, dal cinema al teatro. Ma io, nata in Italia nel 2004, cosa posso saperne di bombardamenti?

In quanto adolescente potrei scrivere un trattato sulle bombe ormonali, sulle bombe d'acqua ovvero le forti piogge che fanno vittime come le bombe della guerra. Potrei anche parlare delle bombe batteriche e del Covid che ha mietuto migliaia di vite innocenti oppure dei camion bomba terroristici di cui ho sentito ai telegiornali nelle cronache europee. Quel che è certo è che la parola "bomba" rievoca qualcosa che ferisce. Per esempio, il brutto e volgare modo di dire "bomba sexy" colpisce la nostra dignità di donne.

Eppure, sono consapevole della fortuna di essere cresciuta in un Paese in pace ma sono a conoscenza delle bombe che dal '43 al '45 hanno lacerato città, case e corpi di puri civili, tra cui bambini, donne e uomini incolpevoli.

Ed oggi, nonostante gli orrori di quella guerra, mi ritrovo ad ascoltare i notiziari con cronache da Kiev, da Gaza, da Addis Abeba, da Kabul e chissà quanti altri luoghi del mondo di cui non si parla dove purtroppo continuano a scoppiare conflitti armati. Mi immagino come dev'essere la vita dei miei coetanei in territori bombardati, com'è camminare per andare a scuola in una strada pericolosa, com'è abitare in un paese dove non vi è mai silenzio ma dopo un’esplosione si sente, come scrive Franco Arminio, “solo il rumore del coma”, con i soldati ad ogni angolo; com'è dormire, innamorarsi e studiare con un conflitto in corso.

I miei due nonni paterni, vissuti a Lugo di Romagna, Romano e Rosanna avevano rispettivamente sei e tre anni. Entrambi quando rievocano i ricordi di quel periodo lo fanno come fosse la vita di altre persone poiché hanno osservato quella realtà dal basso verso l'alto con gli occhi di due bambini. Mi sono stati raccontati svariati e dolenti aneddoti: dall’aver visto dei tedeschi picchiare selvaggiamente nelle campagne di Bagnacavallo, i cui terreni oggi sono gli orti agricoli dei miei nonni stessi, agli spari echeggianti percepiti in lontananza. Mio nonno, mi racconta, si auto convinceva fossero gli spari dei cacciatori di tortore. Mia nonna rammenta, invece, di un gruppo di giovani tedeschi che presero un caldo caffè nella casa in cui vivevano lei, la mamma e i fratelli.

Ambedue i miei nonni, pur abitando in due famiglie e zone diverse della città vivevano quella grande angoscia e tensione con fantasia, immaginazione e quasi con gioco. La bomba per loro, in particolare mio nonno e la sua “comitiva” di amico era vista come un momento di adrenalina, non si percepiva il terrore e la brutalità finché non si vedevano le pareti della propria cameretta distrutte insieme alle lacrime strazianti dei genitori.

Probabilmente io pure cercherei un sentiero di fuga nella mia mente per poter continuare a sorridere tra le ceneri delle esplosioni. Forse è stata proprio l’immaginazione a salvare i bambini dalla terribile esperienza della guerra.

A Rimini, città nella quale studio come liceale da cinque anni, sono ancora evidenti i segni delle bombe del '43; in particolare camminando per il centro storico. Spesso mi sembra di rivedere le scene narrate dai pochi e preziosi anziani testimoni, i quali tengono vivida la memoria delle nuove generazioni fino alla fine come fosse la loro eredità.

Da quando ho memoria sento parlare di "pace" tuttavia mi rendo sempre più conto crescendo che questa semplice parola rappresenta una difficile conquista da realizzare; è più facile iniziare una guerra che concluderla.

«È il destino dell'umanità dover portare con sé storie devastanti?» mi chiedo io stessa, seppur amando la vita in tutte le sue sfumature: dovrò continuare a parlare di bombardamenti e di sangue a figli e nipoti anche in epoca futura? Voglio con tutte le mie speranze credere nel progresso ovvero promuovere la cultura della pace, della libertà e del rispetto reciproco.


Aisha Croari

Studentessa Liceo Scienze Umane

Scuola Maestre Pie di Rimini


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